Oggi non ho voglia di andare in un posto affollato, ma vorrei andare in un bel giardino o in un bel parco. La domanda se esistano dei bei giardini a Tokyo però senza tanta gente di domenica lascia Kayoko interdetta, al che ripiego sulla mia destinazione originaria, c'è una mostra al Museo di arti grafiche di Machida (un 45 minuti di treno a ovest di Tokyo, un po' meno da dove siamo noi) che chiude proprio oggi, volevo andarla a vedere ma non sono sicura di averne proprio voglia oggi...
Insomma con questo umore un po' così parto.
Scesa dal treno, mi dirigo verso il parco che circonda il museo, seguendo i binari passo sotto a questo cavalcaferrovia.
E' un gran caldo anche oggi, sto già sudando sotto il mio ombrellino, per fortuna arrivo subito al parco, dove con tutto questo verde si respira.
Questa parte del parco è quella lasciata più "selvaggia", dove i ragazzi possono entrare nell'erba e sguazzare nell'acqua.
Ci sono perfino anche gli scout alla ricerca di non so bene cosa.
C'è anche un'aiola del mio fiore preferito...
Si passa da una galleria (c'è una strada sopra che divide il parco in due), e dall'altro lato l'ambiente cambia completamente, c'è un grande prato dove giocare a calcio o a baseball o a qualunque altra cosa, e poco più avanti c'è questo.
Le due braccia di questa fontana (non saprei come altro definirla) si muovono facendo cadere l'acqua ora di qua ora di là, tra l'evidente giubilo dei bimbi che aspettano sotto.
E' come se fosse una piscina all'aperto (per bimbi, e quindi bassissima), gratuita e aperta a tutti.
Lungo il viale che mi porta al museo c'è anche un canaletto dove scorre l'acqua, anche qui ai bimbi è permesso entrare e giocare con l'acqua. Lo trovo molto bello tutto questo.
La mostra che sono venuta a vedere è questa, si tratta di libri illustrati dal medioevo fino all'inizio del '900, ripercorrendone anche le tecniche di stampa, quello che non mi aspettavo è che c'è solo arte occidentale, c'è Doré, Mucha, Brunelleschi e i suoi pochoir, Kate Greenaway, insomma veramente tutto un riassunto della storia del libro illustrato europeo, tutte cose che già conosco purtroppo, ma alcune sono comunque interessanti da vedere.
E' anche interessante per esempio leggere in giapponese come viene spiegata la Divina Commedia...
In un'altra stanza sono illustrate le varie tecniche di stampa, xilografia, litografia, acquaforte, puntasecca etc...
La cosa bella di questa struttura è che c'è anche un atelier, a disposizione degli artisti che vogliono praticare le tecniche di stampa, visto che non è né facile né comodo avere in casa un torchio o conservare e smaltire gli acidi dopo l'uso.
Ci sono anche giornate in cui è possibile per i principianti provare queste tecniche sotto la guida di un maestro, mi ero informata per la xilografia, ma il primo laboratorio era a novembre, un po' troppo in là per me...
E' che ci sono molto più spesso laboratori per acquaforte e simili, ma evidentemente qui interessano di più queste tecniche "esotiche" che non la stampa da matrice di legno tradizionale, peccato!
Torno indietro ripassando dal parco...
...e sotto lo stesso cavalcaferrovia.
Questo è il tombino locale.
In una stazione di passaggio, un poster della Keio (la linea del treno che sto usando).
La cartina fuori dalla stazione quando esco verso la mia seconda destinazione. Queste cartine ho imparato a mie spese che possono essere tanto utili quanto fuorvianti, visto che NON sono sempre orientate verso il nord, ma a seconda di dove ti trovi in quel momento.
Seguendo la strada per il prossimo museo, trovo altri due tombini molto belli.
Purtroppo ho scelto per venire al museo in memoria di Mushakoji Saneatsu (ma mi tornava comodo da Machida, siamo sempre nella zona ad ovest di Tokyo) proprio un momento tra due mostre, e quindi non posso vedere tutte le sale, che sono in allestimento.
Vedo la biblioteca, la sala video (dove ci si può servire di vari tipi di té caldo o freddo, a seconda dei gusti), e lo studio, dove sono appesi comunque alcuni originali. Non mi piace proprio tutto tutto quello che ha fatto quest'uomo ma alcune cose si, sono di una semplicità esemplare.
Il museo è comunque piccolo (viste sul sito queste stanze sembravano enormi!) ma molto ben fatto, e lì accanto c'è un piccolo parco, dove gli iris devono ancora fiorire.
Tornando verso la stazione, incontro questo orso.
Dove ho fotografato il poster con l'elefantino mi sono comprata 3 fantasmini nuovi, visto che quelli che avevo portato dall'Italia a forza di camminare sono tutti bucati! (e visto che qui capita molto spesso di doversi togliere le scarpe, anche nei negozi o nei musei...)
E questa è la mia marca di caffè in lattina preferito! Non che li abbia assaggiati tutti, ma è il primo che ho provato e resta il più buono, la prima ad esserne sorpresa sono stata proprio io, l'ho assaggiato per la prima volta dopo la passeggiata sotto i tori rossi a Kyoto, per necessità, che ne avevo proprio bisogno di un caffè dopo una notte di autobus e due ore e mezzo di cammino.
Al Koyasan, dove faceva fresco, l'ho trovato anche caldo, mentre qui a Tokyo ormai tutte le macchinette lo danno solo freddo, come tutte le altre bevande (evidentemente c'è un cambio stagionale, che mi fa pensare che anche trovare sempre qualcosa di caldo in inverno deve essere di grande conforto...).
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martedì 22 giugno 2010
6月5日
Alle 5 del mattino riesco a vedere questo paesaggio dal finestrino dell'autobus.
Dopo un paio di ore siamo arrivati alla stazione di Tokyo, ma da lì ci vuole ancora una quarantina di minuti prima di arrivare qui a Uehara. Mi pesano più questi che tutto il viaggio.
Ho portato questo Omiyage (souvenir) da Miyajima, un dolcino ripieno tipico della zona, fatto a forma di foglia d'acero.
Passo la giornata a sfare la valigia, fare il bagno e il bucato, mettere a posto e sistemare tutti i volantini e depliant che ho preso.
Sull'autobus ho dormito quindi non ho sonno, ma anche se non lo voglio ammettere sono comunque un po' stanca, anche dal punto di vista emotivo è stato un viaggio impegnativo.
Mi sento anche un po' straniata a ritrovarmi in una città come Tokyo dopo i posti che ho avuto la fortuna di visitare, mi dovrò riabituare alla metropoli.
Ma nonostante tutto questo, sono veramente felice.
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Dopo un paio di ore siamo arrivati alla stazione di Tokyo, ma da lì ci vuole ancora una quarantina di minuti prima di arrivare qui a Uehara. Mi pesano più questi che tutto il viaggio.
Ho portato questo Omiyage (souvenir) da Miyajima, un dolcino ripieno tipico della zona, fatto a forma di foglia d'acero.
Passo la giornata a sfare la valigia, fare il bagno e il bucato, mettere a posto e sistemare tutti i volantini e depliant che ho preso.
Sull'autobus ho dormito quindi non ho sonno, ma anche se non lo voglio ammettere sono comunque un po' stanca, anche dal punto di vista emotivo è stato un viaggio impegnativo.
Mi sento anche un po' straniata a ritrovarmi in una città come Tokyo dopo i posti che ho avuto la fortuna di visitare, mi dovrò riabituare alla metropoli.
Ma nonostante tutto questo, sono veramente felice.
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lunedì 21 giugno 2010
6月4日 ・ Miyajima, Hiroshima
Alle 6 circa veniamo sbarcati alla stazione di Hiroshima.
Ho dormito come un sasso! Saluto la coppia romano-messicana (avevo dimenticato di dirlo, lei è messicana) e mi avvio verso il bagno della stazione, dove mi cambio e preparo una borsa in versione ridotta, oggi lo zaino lo lascio qui in un armadietto.
Prendo un treno, e arrivo al porto dove partono i traghetti per Miyajima, un posto che desidero vedere da sempre.
Già da lontano si riesce a vedere il tori rosso sul mare.
Sono le 7.40 e mi trovo qui davanti. Non mi sembra neanche vero!
Anche in quest'isola ci sono i cervi.
Entro a visitare il santuario. All'ingresso ci sono gli orari delle maree, adesso l'acqua è bassa ma verso mezzogiorno dovrebbe alzare.
C'è anche un teatro No, con l'immancabile pino dipinto sullo sfondo.
Esco dal santuario e passo da qualche stradina del paese.
Dal parco Omoto inizia il sentiero che sale fino al punto più alto dell'isola, 10 km circa tra andata e ritorno, che è il mio programma per stamani.
E' presto e dentro il bosco è ancora buio. Camminare senza zaino è veramente una passeggiata, mi sento leggerissima.
Poco prima di raggiungere la prima cima, una deviazione conduce a questa grotta.
E poco dopo arrivo nel primo punto da dove si apre il panorama, è così bello che vorrei urlare.
Ed ecco la cima del Komagabayashi, siamo sui 500 metri di altezza.
Questo per me è giusto il tipo di paesaggio da romanzo Salgariano o da Corto Maltese.
Scendo da questa cima e mi dirigo verso il monte Misen, la montagna più alta dell'isola, 535 metri.
Sono circa le 10, ci ho messo un'ora e mezza a salire, e fa già caldo. Mi fermo un attimo qui al fresco e vedo passare, tutto tranquillo, un piccolo Tanuki.
Qui c'era la porta d'ingresso per il tempio che si trova vicino alla cima del monte Misen, probabilmente spazzata via da qualche tempesta.
Ho trovato il primo dei padiglioni del tempio. Ma prima di visitarlo, vado verso la vetta.
Sono arrivata. Qui c'è un po' di gente, non tantissima perché è comunque ancora presto, arrivata con la funivia.
C'è anche una piattaforma panoramica in cemento armato che mi sembra un insulto alla bellezza di questo posto.
Non ci salgo e comincio a scendere verso il tempio.
In questo padiglione c'è un fuoco sempre acceso sotto un pentolone d'acqua. Si dice che questo fuoco sia stato acceso da Kobo Daishi e da allora non sia mai stato lasciato spegnersi. Si dice anche che bere quest'acqua, leggermente affumicata, faccia benissimo alla salute, fatto sta che a me non riesce spostare neanche di un millimetro il coperchio di legno massiccio.
Esploro i piccoli sentieri lì intorno.
Questa è un'altra strada per arrivare sulla vetta.
Quando torno indietro, due signori stanno bevendo l'acqua, uno tiene alzato il coperchio (con evidente sforzo) e l'altro la mesce per entrambi nelle coppette che sono lì per questo, gli chiedo se per favore non ne riempirebbe una anche per me, e tra mille ringraziamenti finalmente riesco a bere questa famosa acqua.
Scendo per un sentiero diverso da quello per cui sono salita, mi dirigo verso un altro parco, il Momiji-dani.
Anche senza zaino, questa discesa di gradini è il colpo di grazia per le mie gambe!
Eccomi arrivata al parco. Mi fermo a fare merenda.
Questo è l'ultimo biscottino del Koyasan, volevo fotografarlo ma purtroppo si è tutto sbriciolato nella borsa.
Scendo verso il paese attraversando il parco.
Trovo questa cartina dipinta che fa vedere la strada che ho fatto.
Ormai è l'una, è caldissimo, e anche con l'ombrellino da sole aperto non riesco a smettere di sudare. Devo assolutamente trovare un posto al fresco.
Lo trovo dentro questa costruzione di fronte alla pagoda, il Senjokaku, un tempio mai finito.
E' un edificio enorme, ed è stupendo, alzando gli occhi si possono vedere gli incroci delle travi fino al tetto, e su quelli tirati tra una colonna e l'altra sono appoggiati tutta una serie di pannelli decorativi sempre di legno, dai più antichi ai più recenti, la maggior parte a tema cavallo.
Affacciandosi si può vedere il panorama che va dal tempio Itsukushima fino alle montagne dove ero poco fa.
Sto qui dentro un bel po', aspetto che mi passi la reazione del sudore. Non sono la sola che ha avuto quest'idea, ci sono diverse persone sedute qui al fresco, e c'è una coppia con un bimbo che gattona tutto felice sul pavimento di legno (ovviamente anche qui ci si toglie le scarpe prima di entrare).
Esco dall'edificio che è ancora caldissimo, ma piano piano devo cominciare a rientrare verso la città, prima di visitare il centro di Hiroshima devo tornare fino alla stazione per fare il biglietto dell'autobus per stasera, che stamattina alle 6 la biglietteria era ancora chiusa.
Ma prima di andarmene mi prendo un Ichigori, praticamente un blocco di ghiaccio e fragole che viene triturato in forma di granita, servita con salsa alla panna e sciroppo di fragole. Un'autentica goduria.
Intanto la marea si è alzata, mi fermo un attimo a mangiare la mia granita davanti a questa vista da sogno.
E un cerbiatto ne approfitta per venire a vedere se trova qualcosa di buono nella mia borsa...
Adesso è pieno di turisti.
Saluto l'isola e riparto con il traghetto. Mentre camminavo sui monti ho trovato per terra un biglietto del tram giornaliero che qualcuno ha perso, così invece di prendere il treno stavolta dal porto prendo il tram, che è più lento ma più interessante, perché passa proprio dal centro della città.
Senza alcun preavviso mi vedo passare davanti anche il Genbaku Domu.
Arrivo fino alla stazione, di nuovo mi lavo e mi cambio in bagno, faccio il biglietto per stasera, rimetto lo zaino nell'armadietto e torno indietro a visitare il parco della memoria.
Questo è il monumento dedicato a Sadako, la protagonista del libro "Il gran sole di Hiroshima", che tanto mi sconvolse quando lo lessi alle scuole medie.
Qui chiunque può lasciare in omaggio le proprie gru di carta. Molte sono il lavoro di bambini delle scuole che poi sono venute qui in gita a portarle.
Qui sotto sono raccolti i nomi di tutti le vittime conosciute della bomba, sia quelle immediate che quelle negli anni successivi. Attraverso il monumento si vede la fiamma della pace, che è stata accesa dal fuoco del tempio dove ero stamattina.
Qui davanti vengo fermata da alcune persone, sono un uomo e tre donne, che mi chiedono in inglese se ho tempo per parlare un po' con loro. Il signore mi spiega che è il loro capoufficio, che gli sta insegnando l'inglese e che oggi sono venuti qui per fare conversazione.
Gli spiego che sono italiana e che quindi forse il mio inglese non gli è tanto utile.
Di solito sono molto scocciata quando (devo dire che comunque mi è successo davvero raramente, si possono contare le volte sulla punta delle dita) mi si rivolgono in inglese, e scusate, ho fatto 10000 chilometri per parlare il giapponese!
Ma questa comitiva è troppo simpatica, le signore cercano le frasi da dire nei quaderni (sembra il mio di gruppi di signore che imparano l'inglese...), poi quando capiscono che parlo il giapponese, da lì in avanti la conversazione si svolge così, con l'insegnante che cerca piuttosto inutilmente di farle tornare al loro obiettivo.
Alla fine, non ho molto tempo e li devo salutare, allora una signora estrae dalla borsa un pensierino che avevano preparato per chi si fosse fermato a parlare con loro, una cartolina postale con francobollo di Miyajima e timbro di Hiroshima, con un altro foglietto con tutta la spiegazione in inglese.
Sono commossa e mi sento anche un po' in colpa perché non credo di essergli stata molto utile, e glielo dico, ma loro sono contenti e lo sono anch'io.
Ci scambiamo le mail e li saluto con un "Have fun studying english", che provoca un'esplosione di risate.
Vado timidamente verso il Museo, un luogo che sento il dovere di vedere e che allo stesso tempo temo, perché so che non risparmia nessun orrore. Ma è quasi l'ora di chiusura e la persona all'ingresso mi sconsiglia dall'entrare, che mezz'ora è troppo poca.
Così sollevata continuo a passeggiare nel parco, e mi trovo davanti al Memorial Hall.
Qui la guardia all'ingresso invece mi fa segno di avvicinarmi e di entrare, anche se sta per chiudere. In effetti 10 minuti sono più che sufficienti.
Prima si scende lungo un corridoio a spirale, per ritrovarsi al centro di una stanza circolare sulla cui parete è ricostruita la vista di Hiroshima dopo il bombardamento vista dal suo epicentro.
La vista è un mosaico, fatta di tante tessere quante sono il numero delle vittime.
Nella stanza successiva vengono proiettate su una parete le loro foto, un migliaio per volta, ed è spiazzante trovarsi di fronte ai volti di queste persone.
E nell'ultima stanza vengono proiettati i ricordi dei sopravvissuti, sono state raccolte le loro voci e sono stati fatti disegnare, questi disegni un po' crudi ma vividi e efficaci con la storia raccontata in sottofondo (tutto sottotitolato in inglese) sono semplicemente sconvolgenti.
C'è anche una biblioteca/videoteca in questo edificio dove tutti questi materiali raccolti sono liberamente consultabili.
Esco notevolemente turbata e mi faccio una passeggiata nelle strade lì intorno.
Lasciato il parco, Hiroshima è una città gioiosa e viva, le persone simpatiche e aperte, si respira un'atmosfera molto piacevole, mi spiace di andarmene subito stasera.
Ci sono tantissime ragazze vestiste con lo Yukata, quando attraversano gli incroci in gruppi di 4 o 5 sembrano farfalle.
Il mio autobus parte alle 8, siccome il tram è lentissimo mi dirigo per tempo verso la stazione, certa che troverò qualcosa da mangiare lì intorno. E infatti nell'edificio della stazione c'è un intero piano di ristorantini, e tutti affollati (buon segno!) si trova di tutto, ma quello che voglio mangiare io è l'okonomiyaki di Hiroshima. Trovo il ristorantino giusto, la signora è gentilissima, mi siedo al banco, così posso vedere la preparazione davanti ai miei occhi, e mi faccio fare un okonomiyaki con la soba senza carne. Fantastico!
Lascio il ristorante giusto in tempo per ritirare il mio zaino dall'armadietto (che stasera mi sembra incredibilmente leggero!) e prendere il mio posto sull'autobus, destinazione Tokyo, il viaggio è finito.
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Ho dormito come un sasso! Saluto la coppia romano-messicana (avevo dimenticato di dirlo, lei è messicana) e mi avvio verso il bagno della stazione, dove mi cambio e preparo una borsa in versione ridotta, oggi lo zaino lo lascio qui in un armadietto.
Prendo un treno, e arrivo al porto dove partono i traghetti per Miyajima, un posto che desidero vedere da sempre.
Già da lontano si riesce a vedere il tori rosso sul mare.
Sono le 7.40 e mi trovo qui davanti. Non mi sembra neanche vero!
Anche in quest'isola ci sono i cervi.
Entro a visitare il santuario. All'ingresso ci sono gli orari delle maree, adesso l'acqua è bassa ma verso mezzogiorno dovrebbe alzare.
C'è anche un teatro No, con l'immancabile pino dipinto sullo sfondo.
Esco dal santuario e passo da qualche stradina del paese.
Dal parco Omoto inizia il sentiero che sale fino al punto più alto dell'isola, 10 km circa tra andata e ritorno, che è il mio programma per stamani.
E' presto e dentro il bosco è ancora buio. Camminare senza zaino è veramente una passeggiata, mi sento leggerissima.
Poco prima di raggiungere la prima cima, una deviazione conduce a questa grotta.
E poco dopo arrivo nel primo punto da dove si apre il panorama, è così bello che vorrei urlare.
Ed ecco la cima del Komagabayashi, siamo sui 500 metri di altezza.
Questo per me è giusto il tipo di paesaggio da romanzo Salgariano o da Corto Maltese.
Scendo da questa cima e mi dirigo verso il monte Misen, la montagna più alta dell'isola, 535 metri.
Sono circa le 10, ci ho messo un'ora e mezza a salire, e fa già caldo. Mi fermo un attimo qui al fresco e vedo passare, tutto tranquillo, un piccolo Tanuki.
Qui c'era la porta d'ingresso per il tempio che si trova vicino alla cima del monte Misen, probabilmente spazzata via da qualche tempesta.
Ho trovato il primo dei padiglioni del tempio. Ma prima di visitarlo, vado verso la vetta.
Sono arrivata. Qui c'è un po' di gente, non tantissima perché è comunque ancora presto, arrivata con la funivia.
C'è anche una piattaforma panoramica in cemento armato che mi sembra un insulto alla bellezza di questo posto.
Non ci salgo e comincio a scendere verso il tempio.
In questo padiglione c'è un fuoco sempre acceso sotto un pentolone d'acqua. Si dice che questo fuoco sia stato acceso da Kobo Daishi e da allora non sia mai stato lasciato spegnersi. Si dice anche che bere quest'acqua, leggermente affumicata, faccia benissimo alla salute, fatto sta che a me non riesce spostare neanche di un millimetro il coperchio di legno massiccio.
Esploro i piccoli sentieri lì intorno.
Questa è un'altra strada per arrivare sulla vetta.
Quando torno indietro, due signori stanno bevendo l'acqua, uno tiene alzato il coperchio (con evidente sforzo) e l'altro la mesce per entrambi nelle coppette che sono lì per questo, gli chiedo se per favore non ne riempirebbe una anche per me, e tra mille ringraziamenti finalmente riesco a bere questa famosa acqua.
Scendo per un sentiero diverso da quello per cui sono salita, mi dirigo verso un altro parco, il Momiji-dani.
Anche senza zaino, questa discesa di gradini è il colpo di grazia per le mie gambe!
Eccomi arrivata al parco. Mi fermo a fare merenda.
Questo è l'ultimo biscottino del Koyasan, volevo fotografarlo ma purtroppo si è tutto sbriciolato nella borsa.
Scendo verso il paese attraversando il parco.
Trovo questa cartina dipinta che fa vedere la strada che ho fatto.
Ormai è l'una, è caldissimo, e anche con l'ombrellino da sole aperto non riesco a smettere di sudare. Devo assolutamente trovare un posto al fresco.
Lo trovo dentro questa costruzione di fronte alla pagoda, il Senjokaku, un tempio mai finito.
E' un edificio enorme, ed è stupendo, alzando gli occhi si possono vedere gli incroci delle travi fino al tetto, e su quelli tirati tra una colonna e l'altra sono appoggiati tutta una serie di pannelli decorativi sempre di legno, dai più antichi ai più recenti, la maggior parte a tema cavallo.
Affacciandosi si può vedere il panorama che va dal tempio Itsukushima fino alle montagne dove ero poco fa.
Sto qui dentro un bel po', aspetto che mi passi la reazione del sudore. Non sono la sola che ha avuto quest'idea, ci sono diverse persone sedute qui al fresco, e c'è una coppia con un bimbo che gattona tutto felice sul pavimento di legno (ovviamente anche qui ci si toglie le scarpe prima di entrare).
Esco dall'edificio che è ancora caldissimo, ma piano piano devo cominciare a rientrare verso la città, prima di visitare il centro di Hiroshima devo tornare fino alla stazione per fare il biglietto dell'autobus per stasera, che stamattina alle 6 la biglietteria era ancora chiusa.
Ma prima di andarmene mi prendo un Ichigori, praticamente un blocco di ghiaccio e fragole che viene triturato in forma di granita, servita con salsa alla panna e sciroppo di fragole. Un'autentica goduria.
Intanto la marea si è alzata, mi fermo un attimo a mangiare la mia granita davanti a questa vista da sogno.
E un cerbiatto ne approfitta per venire a vedere se trova qualcosa di buono nella mia borsa...
Adesso è pieno di turisti.
Saluto l'isola e riparto con il traghetto. Mentre camminavo sui monti ho trovato per terra un biglietto del tram giornaliero che qualcuno ha perso, così invece di prendere il treno stavolta dal porto prendo il tram, che è più lento ma più interessante, perché passa proprio dal centro della città.
Senza alcun preavviso mi vedo passare davanti anche il Genbaku Domu.
Arrivo fino alla stazione, di nuovo mi lavo e mi cambio in bagno, faccio il biglietto per stasera, rimetto lo zaino nell'armadietto e torno indietro a visitare il parco della memoria.
Questo è il monumento dedicato a Sadako, la protagonista del libro "Il gran sole di Hiroshima", che tanto mi sconvolse quando lo lessi alle scuole medie.
Qui chiunque può lasciare in omaggio le proprie gru di carta. Molte sono il lavoro di bambini delle scuole che poi sono venute qui in gita a portarle.
Qui sotto sono raccolti i nomi di tutti le vittime conosciute della bomba, sia quelle immediate che quelle negli anni successivi. Attraverso il monumento si vede la fiamma della pace, che è stata accesa dal fuoco del tempio dove ero stamattina.
Qui davanti vengo fermata da alcune persone, sono un uomo e tre donne, che mi chiedono in inglese se ho tempo per parlare un po' con loro. Il signore mi spiega che è il loro capoufficio, che gli sta insegnando l'inglese e che oggi sono venuti qui per fare conversazione.
Gli spiego che sono italiana e che quindi forse il mio inglese non gli è tanto utile.
Di solito sono molto scocciata quando (devo dire che comunque mi è successo davvero raramente, si possono contare le volte sulla punta delle dita) mi si rivolgono in inglese, e scusate, ho fatto 10000 chilometri per parlare il giapponese!
Ma questa comitiva è troppo simpatica, le signore cercano le frasi da dire nei quaderni (sembra il mio di gruppi di signore che imparano l'inglese...), poi quando capiscono che parlo il giapponese, da lì in avanti la conversazione si svolge così, con l'insegnante che cerca piuttosto inutilmente di farle tornare al loro obiettivo.
Alla fine, non ho molto tempo e li devo salutare, allora una signora estrae dalla borsa un pensierino che avevano preparato per chi si fosse fermato a parlare con loro, una cartolina postale con francobollo di Miyajima e timbro di Hiroshima, con un altro foglietto con tutta la spiegazione in inglese.
Sono commossa e mi sento anche un po' in colpa perché non credo di essergli stata molto utile, e glielo dico, ma loro sono contenti e lo sono anch'io.
Ci scambiamo le mail e li saluto con un "Have fun studying english", che provoca un'esplosione di risate.
Vado timidamente verso il Museo, un luogo che sento il dovere di vedere e che allo stesso tempo temo, perché so che non risparmia nessun orrore. Ma è quasi l'ora di chiusura e la persona all'ingresso mi sconsiglia dall'entrare, che mezz'ora è troppo poca.
Così sollevata continuo a passeggiare nel parco, e mi trovo davanti al Memorial Hall.
Qui la guardia all'ingresso invece mi fa segno di avvicinarmi e di entrare, anche se sta per chiudere. In effetti 10 minuti sono più che sufficienti.
Prima si scende lungo un corridoio a spirale, per ritrovarsi al centro di una stanza circolare sulla cui parete è ricostruita la vista di Hiroshima dopo il bombardamento vista dal suo epicentro.
La vista è un mosaico, fatta di tante tessere quante sono il numero delle vittime.
Nella stanza successiva vengono proiettate su una parete le loro foto, un migliaio per volta, ed è spiazzante trovarsi di fronte ai volti di queste persone.
E nell'ultima stanza vengono proiettati i ricordi dei sopravvissuti, sono state raccolte le loro voci e sono stati fatti disegnare, questi disegni un po' crudi ma vividi e efficaci con la storia raccontata in sottofondo (tutto sottotitolato in inglese) sono semplicemente sconvolgenti.
C'è anche una biblioteca/videoteca in questo edificio dove tutti questi materiali raccolti sono liberamente consultabili.
Esco notevolemente turbata e mi faccio una passeggiata nelle strade lì intorno.
Lasciato il parco, Hiroshima è una città gioiosa e viva, le persone simpatiche e aperte, si respira un'atmosfera molto piacevole, mi spiace di andarmene subito stasera.
Ci sono tantissime ragazze vestiste con lo Yukata, quando attraversano gli incroci in gruppi di 4 o 5 sembrano farfalle.
Il mio autobus parte alle 8, siccome il tram è lentissimo mi dirigo per tempo verso la stazione, certa che troverò qualcosa da mangiare lì intorno. E infatti nell'edificio della stazione c'è un intero piano di ristorantini, e tutti affollati (buon segno!) si trova di tutto, ma quello che voglio mangiare io è l'okonomiyaki di Hiroshima. Trovo il ristorantino giusto, la signora è gentilissima, mi siedo al banco, così posso vedere la preparazione davanti ai miei occhi, e mi faccio fare un okonomiyaki con la soba senza carne. Fantastico!
Lascio il ristorante giusto in tempo per ritirare il mio zaino dall'armadietto (che stasera mi sembra incredibilmente leggero!) e prendere il mio posto sull'autobus, destinazione Tokyo, il viaggio è finito.
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